Luigi Cicutin - Alfredo Pupolin
Cjâris li' me cjampànis
Amore e nostalgia per la terra natia: TISANOTA
a cura di Enrico Fantin e Roberto Tirelli
Poesie di Luigi Cicuttin
Fotografie di Alfredo Pupolin
Con questa nuova pubblicazione la bassa vuole riportare alla luce, cogliendo dalla penna di Luigi Cicuttin e dagli scatti di Alfredo Pupolin, i sentimenti che li legano alla loro terra natia: Tisanota.
Gigi Cicuttin, già noto cantore di questa Bassa friulana dove ci ha proposto con le sue liriche di metrica libera, una serie di avvenimenti emblematici di un'esperienza antica.
“La gente di Cicuttin”, come descritto, nel 1979, dal poeta Domenico Zannier nella presentazione del libro “Dal cûr de basse”, “ha il colore greve e pesante dell'argilla, ma l'esistenza e gli occhi sono come smarriti nella nebbia e nell'acqua scolorita dei fiumi friulani d'autunno”.
Infatti, nei suoi argomenti della miseria, delle relazioni parentali, dell'emigrazione, del lavoro, della tipica religione contadina si compenetrano l'uno all'altro. La lingua che usa Gigi non è il friulano di marilenghe e nemmeno quello latisanese: usa quel friulano parlato a Teor e attinto dalla madre.
Nella sua seconda fatica del 1981 “L'Ultim”, Cicuttin ha teso a chiarire e definire la cultura cristiana e contadina della Bassa. I suoi personaggi e fatti si riferiscono ai tempi della contadinanza “artigiana”, quando la forza meccanica era costituita da una coppia di buoi o di giovenche e quando la mezzadria, vissuta fino allo spasimo delimitava padroni e bovari, gastaldi e sottani.
Nella terza sua opera del 1985, racconta le vicende travagliate dei “batelanz” e cioè quegli operai addetti al recupero di materiale inerte nelle aree del Tagliamento che da queste parti viene detta “mucula”.
L'autore si commuove nel descrivere le testimonianze, raccolte dalla viva voce di coloro che sono stati protagonisti di quel mondo fatto di ghiaia e acqua.
Un lavoro quello dei batelanz duro e ingrato, condotto senza sosta dall'alba al tramonto, con dei pasti francescani ultra dietetici, consumati in fretta sul posto di lavoro e senza pause mensa.
Gigi, raggiunta la quiescenza, nei primi anni Novanta è emigrato in Brasile.
Da quelle terre lontane la nostalgia per la sua Tisanota è andata crescendo sempre più tanto da comporre ancora dei versi struggenti e che noi vogliamo riproporvi in questo libro.
Accanto alle liriche del cantore di Latisanotta, abbiamo scoperto, in ritardo, delle capacità, meglio definirle “arte fotografica” del nostro socio Alfredo Pupolin, detto Canuti, scomparso nel maggio 2009.
Alfredo era nato a Latisanotta il 21 novembre 1924 e si trasferì, ancora giovane, con la sua famiglia, nei pressi di Roma.
Nel dopoguerra venne assunto e lavorò negli uffici del Ministero del Tesoro della capitale. Seppur lontano non si dimenticò delle sue radici e degli amici d'infanzia lasciati a Latisanotta.
Infatti, ogni anno, immancabilmente, era solito ritornare nei suoi luoghi per le ferie estive.
Con sé portava la sua macchina fotografica e così poteva immortalare i luoghi e le persone amiche paesane. La sua raccolta fotografica (“Mezzo secolo di fotografie” 1945-1995), peraltro donata ad una famiglia amica, consiste in tre volumi e fu oggetto di una mostra nel 2009, due mesi dopo la sua scomparsa, in occasione dei festeggiamenti della Madonna del Carmine. L'esposizione fu una sorpresa per i suoi concittadini e fu accolta favorevolmente con critica positiva dove i parrocchiani poterono ammirare personaggi divenuti ormai anziani o scomparsi e angoli del paese con le misere case ora tutte ristrutturate.
Facce di uomini e donne segnati dall'andar del tempo, scavati dai solchi delle rughe e che mostrano ugualmente integra tutta la loro dignità.
Volti di gente senza storia, donne vestite di nero, di pasoliniana memoria, con il fazzoletto in testa che lasciava scoperto solo l'ovale del viso increspato, ma tutti personaggi che hanno contribuito a fare la storia di Latisanotta.
Dai suoi scatti si possono ammirare il mondo contadino che ora non c'è più ormai sepolto dal progresso micidiale inarrestabile dei tempi moderni. Carri e carrette trainati per lo più dagli asinelli, solo qualche trattore che allora girava per le vie e tante donne nei molteplici aspetti della loro vita lavorativa quotidiana: chi in bicicletta con i bidòns del latte, chi con il bigòl e le secchie per prendere l'acqua alle fontane pubbliche.
E poi volti di uomini e donne segnati dall'andar del tempo, scavati dai solchi delle rughe e che mostrano ugualmente integra tutta la loro dignità.
Insomma Alfredo è stato un artista della fotografia e grazie a lui possiamo ora riscoprire quel mondo, seppur limitato ad uno specifico territorio, uguale per tante altre parti della Regione, ma cancellato dal progredire dei tempi.
L'associazione, pertanto, è riconoscente al socio poeta Luigi Cicuttin e alla cara memoria di Alfredo Pupolin che con i loro canti e gli scatti fotografici hanno contribuito a tener alto il ricordo della loro terra natia.
Da considerare, infine, che tutti i loro tentativi sono stati non di imbalsamare, ma sono stati sforzi per mantenere antiche nostalgie con un rapporto fra il ricordo e il desiderio: strumenti, questi, capaci di contrastare la distruzione della cultura contadina e popolare.
Accanto ad ogni poesia di Gigi, anche per dare completezza e vivacità alla sua opera, abbiamo voluto accostare un mirabile scatto fotografico di Alfredo che, in alcuni casi, seppur attinente all'argomento poetico, non appartiene a nessun riferimento di persona, e non vuole assolutamente essere offensivo agli attori del tempo.
Pertanto, ogni accostamento è puramente casuale.
Penso che un lavoro di questo genere possa svolgere una funzione di stimolo, di comunicazione culturale, nei confronti della comunità e nello stesso tempo possa essere un prezioso strumento anche per un nuovo modo di fare per arricchire la cultura nelle scuole.
Latisana, 25 ottobre 2012.
Enrico Fantin
presidente associazione culturale “la bassa”
INTRODUZIONE
In uno di questi miei semplici componimenti, scritti nella varietá linguistica friulana usata, nel Latisanese potete leggere: “Ormài li' Sèlvis a' son clamàdis:“ Da via Trieste 77 a via Trieste 87, di Latisana, UD, Italia”.
Senza mezzi termini, si puó affermare che un toponomino antico della frazione di Latisanotta viene fagocitato da undici numeri civici dello stradario del Capoluogo del Comune.
Certamente, è lógico che nell'epoca dei computer e delle mappe satellitari, il nome di un gruppo di case, “Li' Sèlvis” per l'appunto,- denominate anche Casali Cicuttin,- venga quasi cancellato dalla memoria collettiva, in nome della moderna e imperante esigenza globale, che tende a semplificare al massimo i meccanismi di ricerca topografici, a discapito di denomimazioni tramandate dalla cultura storica popolare od affettiva.
Forse sarebbe troppo pretendere, che la presente esigua raccolta, di versi sciolti sia considerata arte poética, ma gradirei che fosse considerata come una semplice esternazione di sentimenti, generati da lontani ricordi, o da recenti casi della vita di un uomo che ha partecipato, piú indirettamente che direttamente, a molti avvenimenti della storia recente, e che è da sempre legato alle sue origini contadine, al suo modo, di esprimersi, di vivere, e di ragionare anche se la sua esistenza è fluita in ambienti molto diversi e distanti della stessa.
Mi chiamo Luigi Cicuttin (conosciuto come Gigi da familiari ed amici) sono del 1939 e sono nato nella frazione di Latisana, Latisanotta, quando Latisanotta non era un borgo del capolugo come oggi.
Latisanotta, fino a poco dopo della fine della II guerra mondiale, come le altre frazioni della comunitá latisanese, Gorgo, Pertegada, Bevazzana, era considerata una concentrazione di abitanti dediti essenzialmente all'agricoltura.
Gli abitanti di queste frazioni erano, mezzadri, affittuari e piccoli proprietari, (poi chiamati coltivatori diretti).
Molti mezzadri o affittuari di terreni del comprensorio dipendevano dai “cittadini” abitanti in Latisana che usavano, per la maggior parte, una parlata veneteggiante.
La parlata, allora di moda, nel capoluogo Latisanese era una mistura di veneto e friulano, onde prevalevano i termini e la grammatica della regione nostra vicina.
Questo modo di esprimersi denotava una volontá dei propietari terrieri, dei commercianti, degli artigiani, dei liberi professionisti, degli impiegati del Comune capoluogo, del Catasto ecc., assieme ai laureati e ai diplomati, (ai quali era quasi obbligatorio rivolgersi con il capello in mano, chiamandoli): “ Sior pirìt, sior geómetra, sior mestri ecc.” di far pesare la loro disparità sociale, piccolo borghese, nei confronti dei contadini considerati, “Leame e sorgial”.
Naturalmente anche ai piccoli proprietari terrieri non era risparmiato tale trattamento, che per fortuna oggi è sparito, poiché l'imprenditore agricolo è considerato altamente degno di considerazione.
“Leame e sorgial” erano considerate “Li' Sèlvis”; un casale di Latisanotta, anche se ivi mio bisnonno,“Jacu Luvis” possedeva piú di 40 ettari di terra con stalle e accessori agricoli annessi, il che a quei tempi non era poca cosa.
Senza rancore, anche perché da quel “Leame e sorgial” sono usciti: imprenditori, direttori di banca, alcuni laureati e, non ultimo lo scrivente maestro elementare in Italia, che ora è anche in possesso di due lauree, una in Turismo ed un'altra in Filosofia conseguite in Universitá Brasiliane.
Come dissi i miei primi approcci con il linguaggio, in mezzo ad oche e galline, fu la parlata con la quale ho scritto i miei versi, senza alcuna pretesa che siano letti da molti, (ma spero siano letti si, dagli estimatori e studiosi, del friulano, poco, ma ancora parlato nel Latisanese).
La grafia non è quella ufficiale friulana, ma è símile a quella usata dal compianto Maestro Nelso Tracanelli nelle sue composizioni.
Questi “versi” sono stati scritti in Brasile, ove dimoro, stabilmente per ragioni familiari [dalla poesia “Terzo d'artiglieria”, a pagina 110, fino a pagina 150].
La cittá dove vivo attualmente si trova nel Nordest del Brasile, si chiama TERESINA, capitale dello stato federale brasiliano del PIAUÌ.
Il desiderio improvviso di scrivere mi è venuto, buttando sulla carta farneticazioni di notti passate quasi insonni per il calore tropicale di questa terra, ed il grande amore che mi è rimasto per la terra mia natale.
Il titolo della piccola collezione è “Cjampànis” si: - Cjampànis parsê chê a chi, in Brasìl a' no li' si sint squàsi a dindonâ-.
Brasile anno 2009
Gigi da li' Selvis
MERICHE, MERICHE
Tornarai cun franc,
Dinute,
mandi bambine.
E lu clamavin bìntar
Di Gjenue fin lajù
un sac di guano
al strenzeve tal grin,
un sac plen di pedoi
e strafaniz.
E lu clamavin bìntar.
Par pajâsi il viaz
‘l à lavorât plui
di tre ains,
tes cumieris di soreâlv lungjis dal mâr
fin Latisane.
E lu clamavin bìntar
Par tirâ-sù une pipine
di cjaminâ al veve
plui di doi dîs.
E lu clamavin bìntar.
A Dine puare j ànv Mangjât la braide
par disnotâj centecinquante
francs di cridinze.v Po a sarvî ai siôrs
je lade.
Tant ch'al crepave porconant
sot dal puint
dal treno.
E lu clamavin bìntar.
AMERICA AMERICA
Tornerò con una lira, piccola Dina, ciao bambina. E lo chiamavano vagabondo, da Genova sino a laggiù stringeva fra le ginocchia un sacco di guano, un sacco di pidocchi e stracci. E lo chiamavano vagabondo, per pagarsi il viaggio aveva lavorato più di tre anni nei campi di mais lunghi da Latisana sino al mare. Per prendere un nulla doveva camminare più di due giorni. E lo chiamavano vagabondo. Alla povera Dina hanno mangiato il campo per cancellarle centocinquanta lire di credito, poi è andata a servizio dai ricchi mentre lui moriva bestemmiando sotto il ponte del treno. E lo chiamavano vagabondo.
LA CONTESSE
- ‘Sto paese de contadini -
diseva Lola,
la contesse.
Pur mi la visi bionde,
biele ancje sui quarante e alc.
In fonz,
podopo,
in fonz fra il sanc bleu dai siei
e chel di miarde
dai bovârs,
maraveis di sorte no faseve.
Un san sglonfôr
sot lì
jenfri i bregons
mai o squasit
a' disdegnave.
E i fruz
‘romai cuscris
tal cumbinâ
ce chel il predi comandât
no ûr veve:
- Lola, Lola -
a' imploravin
tal fossalat de arbe' cjalde.
LA CONTESSA
Questo paese di contadini-diceva la contessa Lola, che pur mi ricordo bionda, bella anche oltre i quarant'anni e qualcosa. In fondo, in fondo, poi, fra il sangue blu dei suoi e quello di merda dei bovari non faceva differenza. Un sano rigonfiare dei pantaloni non lo disdegnava quasi mai. Ed i ragazzi divenuti coscritti nel combinare quel che il prete non voleva, Lola, Lola invocavano nel fossato dell'erba calda.
I mio mus
Sintitu Tambo? [1]
Li' ciampanis
Dal mió borc
‘A sunin Sagra.
Mus di un mus
Che un sacodalat
Ti sbruntis su
Pa la Montagna.
No capistu?
Animalat:
“Ta mió pais ‘a é sagra”.
“Tal mio pais a é sagra”
Tiars d'Artiliria
“Trentaquattro La Crac” [2]
“Tal mió pais a é sagra”.
Inciant di tiara goba da la
Ciarnia biela
Coma i Paluss
Da la me Bassa.
[1] Nome del mulo, che gli alpini chiamavano “Mus” che ho “condotto” sotto la naja.
[2] Cosí era chiamata tradizionalmente la 34ª Batteria del Gruppo Udine.(Julia)
IL MIO MULO
Senti Tambo le campane del mio borgo suonano a festa. Asino di un asino che ti spingi su agitandoti per la montagna, capisci o non capisci, animalaccio: nel mio paese c'è festa. Terzo di artiglieria Trentaquattro “la Crac”. Nel mio paese è festa, incanto di terra gobba della bella Carnia come le paludi della mia Bassa.
Tisanota (Due)
T'un bus da la mê ciasa,
indurmidida fra li' panolis
e i ciamps di médica, di dí, a duàr
una suita
che, di not, a brama l'ultin suspir
al piligrin
di chista tiara
buna e grassa.
Pi no m'ingrisulea il siò ciantâ
invidios par
che glàin di vita
ch'a mi tociarâ
di vivi.
J ài di vivi
e po murì,
e sot tiara
ài di zi a Tisanota.
Encia se tal simiteri,
solitaris paradis
dai muars;
pi i ussielus no ciantin
copàs dala siviltàt dai diserbàns.
LATISANOTTA (2)
In un buco di casa mia, addormentata fra le pannocchie ed i campi di erba medica di giorno dorme una civetta che di notte augura la morte al pellegrino in questa terra buona e grassa. Non mi fa tremare più il suo canto invidioso per quel po' di vita che mi toccherà vivere. Devo vivere e poi morire e andare a seppellirmi a Latisanotta, anche se nel cimitero, solitario paradiso dei morti, gli uccellini non cantano più uccisi dalla civiltà dei diserbanti.