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Lionello Galasso. Un artista maestro di vita

di Enrico Fantin

Ho conosciuto per la prima volta dal vivo l'arte di Lionello Galasso nel 1988, quando stava curando l'edizione del libro intitolato “Storia dell'ospedale di Latisana 1572-1988”, nel quale sono riprodotte le fotografie del bassorilievo in bronzo collocato in calle dell'Annunziata a ricordo del centocinquantesimo di fondazione e la medaglia celebrativa coniata per la circostanza. Fui subito colpito, allora, dall'abilità del modellatore nell'adoperare la plasticità della materia per costringere la luce a un sinfonico gioco di chiaroscuri, ottenuto alternando con mano sicura rilievi e incisioni, talvolta profonde per sottolineare un messaggio importante, oppure appena accennate per esaltare la luminosità di un “campo” della composizione.

Erano trascorsi vent'anni dalla Via Crucis modellata in pochi mesi e collocata nel Duomo di Latisana nel 1968, più elaborata e narrativa delle due opere qui ricordate e considerata non a torto uno dei vertici della parabola artistica del suo Autore anche per la straordinaria forza espressiva e per l'unitarietà stilistica che la caratterizzano: vent'anni che avevano per così dire sveltito la sua mano, e prima ancora la sua mente, nella ricerca della sintesi, ottenibile soltanto con segni capaci di dire tanto con poco.

Mi è capitato, poi, di vedere la straordinaria forza e modernità dei suoi interventi in architettura - casa del Mutilato, Mosaico per la Scuola media, Monumento ai Caduti di Latisanotta,... - e così ho potuto misurare la lunghezza del percorso compiuto dall'Artista a partire dalle opere degli anni Quaranta, e in particolare dalla Deposizione in pietra d'Aurisina collocata nel cimitero di Cordovado, realizzata in forme plastiche necessariamente narrative ma già oscillanti fra classicità e modernità, una contaminazione ancor più evidente nella Madonna Addolorata nel 1952.

I critici citati sulle pagine successive hanno individuato alcune ascendenze di linguaggio nella produzione di Galasso, ma sono concordi nel riconoscere la sua impronta personale, a dimostrazione che il nostro Artista è sempre protagonista, mai dipendente, nel processo creativo. E del resto, quando un linguaggio esiste e viene ritenuto adatto all'espressione creativa, quindi non ripetitiva, deve essere usato anche per dare all'opera il senso del tempo presente: non diceva Picasso di aver sempre “rubato”? Certo, rubava, ma poi sapeva trasformare l'ottone in oro!

(Dalla prefazione di Gianfranco Ellero Presidente del Centro Friulano Arti Plastiche di Udine).