logo associazione la bassa

Coronavirus, 100 anni prima l'influenza spagnola: la pandemia che decimò la popolazione mondiale

Dal libro:

LA PRIMA GUERRA MONDIALE NEL 90° DELLA FINE

Un itinerario della memoria fra il Carso e il Tagliamento, fra le Diocesi di Udine e Concordia-Pordenone
1918-2008

a cura di ENRICO FANTIN

CAPITOLO VI
di Gianni Strasiotto
La febbre “spagnuola”

LA FEBBRE “SPAGNUOLA”

Negli anni Venti le vittime, in Europa, furono stimate in quindici milioni - nel mondo circa cinquanta milioni - (con larga approssimazione), poiché nei registri comunali o parrocchiali quasi mai furono indicate le cause di morte, così neppure nei fogli matricolari dei soldati, forse per tenere nascoste le dimensioni dell'epidemia.

Pochissime volte, per indicare le cause dei decessi, fu scritto “febbre spagnuola”, qualche volta “febbre endemica”, più spesso “broncopolmonite” o “edema bronchiale”.

Stime successive, fino alle più recenti, hanno fatto salire il numero delle vittime, le morti causate dal morbo sarebbero state addirittura pari a quaranta milioni in Europa ed a cento milioni a livello mondiale.

In Italia si valutano tra 350.000-500.000 i morti e quattro milioni e mezzo i contagiati, su una popolazione di 36 milioni; in Austria- Ungheria le vittime stimate furono due milioni. L'incertezza dei dati dipende dal fatto che - come detto sopra - poche volte è possibile distinguere i decessi a causa della febbre spagnola, dagli altri, solo confrontandone il numero nell'arco di un decennio si può effettuare un riscontro.

Il primo decesso attribuito alla “spagnola” avvenne nel marzo 1918 in un campo d'addestramento dell'esercito statunitense, nel Kansas.

A maggio un'agenzia giornalistica spedisce a Londra un cablo in cui si dà notizia di una nuova epidemia esplosa a Madrid, ma già nel febbraio 1918 era comparsa una malattia fortemente contagiosa, individuata inizialmente nella cittadina di San Sebastian in Spagna - con tre giorni di febbre, dolori muscolari e malessere - senza provocare particolare allarme: per questo la malattia fu battezzata “spagnola”. I ricercatori sono d'accordo che la pandemia sia stata portata in Europa dai soldati statunitensi; il primo caso ufficiale in Italia fu a Sassona (Vicenza).

Si ebbero tre ondate d'influenza: la prima (primavera 1918) fu considerata benigna, causò vittime prevalentemente fra gli anziani e le persone deboli; la seconda (autunno 1918) fu spaventosa, la metà dei morti riguardò uomini e donne tra i 20 e i 40 anni. Da una comparazione, eseguita in questi giorni in alcune nostre parrocchie, è emerso che il numero dei civili morti nell'ultimo trimestre 1918 è ben superiore a quello dei deceduti nei nove mesi precedenti. Nella terza ondata (inizi del 1919) i decessi furono inferiori, ma riguardarono sempre persone giovani.

Fra questi il pastorello di Fatima, il beato Giacinto Marto, ammalatosi il 23 dicembre 1918 di broncopolmonite detta “spagnola”, morto il 4 aprile 1919 e, probabilmente la sorella, la beata Giacinta, morta l'anno successivo, indebolita dalle febbri.

Scorrendo i nomi, nei registri dei morti, si vedono decessi molto ravvicinati di più componenti della stessa famiglia, proprio nei due ultimi periodi accennati sopra.

Quello che i registri non possono dire è l'opera assidua encomiabile dei parroci, specialmente nei territori occupati, nella primavera ed autunno del 1918, quando non c'era alcun medico italiano e nessun tipo d'organizzazione sanitaria. Furono loro ad assistere i civili colpiti dal virus che si manifestava con tosse, febbre, dolori lombari; successivamente i polmoni cominciavano a riempirsi di sangue. I sacerdoti accorrevano nelle famiglie, spesso erano in grado di diagnosticare il male e molte volte ottenevano, dai medici militari occupanti, il ricovero nei loro ospedali da campo, dotati di piccoli laboratori d'analisi per le indagini di base. Cercavano quindi del cibo contenente un minimo di proteine per i ricoverati, sottraendolo alle requisizioni, ma spesso - quando queste avvenivano - dovevano restare in canonica, bloccati da una sentinella alla porta. La miseria e la fame crescevano di giorno in giorno - durante tutto il periodo dell'occupazione - ed una processione di gente dei paesi di montagna scendeva in cerca di grano, barattandolo con gli oggetti più preziosi che possedevano. Il papa Benedetto XV acquistò un treno di grano e lo inviò nelle nostre terre invase, ma tale grazia di Dio non raggiunse mai la nostra zona; e proprio una discreta alimentazione sarebbe stata in grado di salvare molte vite umane.

Da tante testimonianze raccolte nella nostra diocesi, nel corso degli anni, un dato sembra concordare: i comandanti di tappa degli eserciti occupanti agivano molte volte in modi disumani, privavano perfino i bambini di un po' di latte - facendo macellare anche l'ultima mucca rimasta nella stalla; gli ufficiali medici, invece, dimostravano gran disponibilità.

Scrive don Giacomo Bianchini, in una ricerca inedita: “Merita che qui si ricordi che i medici germanici, austriaci e boemi ed anche ungheresi curarono sempre gratis i nostri ammalati, dando loro, finché ne avevano, anche le medicine gratuitamente. Volevano poi tanto bene ai nostri bambini”.

Chiudiamo con qualche aneddoto relativo alla ritirata dell'esercito occupante. A Barco, nell'ospedale della Croce Rossa n° 406, abbandonato il 30 ottobre 1918 dagli austro-ungarici, nell'arco di cinque giorni morirono nove prigionieri di guerra italiani e cinque soldati austriaci, in condizioni troppo gravi per essere trasportati.

La fantasia popolare fece arrivare, fino ai nostri giorni, la diceria che erano stati avvelenati. Il parroco, don Massimino Simoni trascrisse, in tutti i casi: la morte era stata causata da “febbre spagnola”.

Uno zio ci ricordava, da piccoli, i frequenti funerali che procuravano a lui, ed agli altri chierichetti, alcune “corone” quale gradita ricompensa, finite poi bruciate alla fi ne dell'occupazione.

A Corbolone, nel trambusto della ritirata, un medico austriaco che aveva in cura una donna grave, già partito con il suo ospedale, ritornò in paese a sera inoltrata, dopo aver percorso a cavallo parecchi chilometri, per praticare l'ultima iniezione. Nel congedarsi dai familiari dell'inferma disse: “Domani qualche ufficiale medico dell'esercito italiano le continuerà la cura”.

La guerra, con i tanti lutti e privazioni, non aveva del tutto spenta la solidarietà umana.

Vittime famose
Egon Schiele, pittore austriaco († 31 ottobre 1918)
Guillaume Apollinaire, poeta francese († 9 novembre 1918)
Edmond Rostand, poeta e drammaturgo francese, celebre per aver scritto l'opera teatrale Cyrano de Bergerac († 2 dicembre 1918)
Jakov Michajlovič Sverdlov, politico sovietico († 16 marzo 1919)
Francisco Marto, veggente di Fatima († 4 aprile 1919)
Giacinta Marto, veggente di Fatima († 20 febbraio 1920)
Max Weber, economista, sociologo, filosofo e storico tedesco († 14 giugno 1920)
Giffoni Mariantonietta morta a 25 anni ad Eboli nel 1918, nonna del professor Giuseppe Trapanese.

copertina numero 1 la bassaL'autista di un tram non accetta passeggeri sprovvisti di maschera.



Notizie ANSA del 19 agosto 2008

ROMA - Uno dei virus più aggressivi a memoria d'uomo, quello della Spagnola che nel 1918 uccise più della prima guerra mondiale, è ancora “vivo” nella memoria del sistema immunitario di 32 centenari. Gli anticorpi isolati nel loro sangue, secondo lo studio pubblicato nell'edizione on line Nature, potranno aiutare a mettere a punto nuove armi terapeutiche nel caso in cui dovesse nuovamente comparire un virus simile a quello della Spagnola. La ricerca si deve ad un gruppo di laboratori statunitensi coordinati dalla Vanderbilti University di Nashville. Sotto la guida di James Crowe, i ricercatori hanno scoperto che anche a distanza di 90 anni il sistema immunitario mantiene inalterata la memoria dell'infezione del sangue di tutti e 32 gli individui arruolati nello studio. Tutti sono nati intorno al 1915, sono quindi stati esposti al virus (tutti hanno avuto almeno un caso di Spagnola in famiglia) e sopravvissuti. Non solo: in alcuni di essi sono ancora in circolazione cellule immunitarie addette alla riproduzione di anticorpi (i linfociti B) che tuttora continuano a produrre gli anticorpi contro il virus della Spagnola. Una volta isolati, gli anticorpi sono stati iniettati in topi e si sono rivelati una protezione efficace contro il virus. Ciò significa che soltanto le “fabbriche” di anticorpi contro il virus della Spagnola sono ancora attive, ma che producono anticorpi ancora efficienti. Il prossimo passo dei ricercatori sarà identificare il “tallone di Achille” del virus, ossia il punto nel quale agiscono gli anticorpi per bloccare l'infezione: informazioni preziose per mettere a punto farmaci contro l'eventuale arrivo di un virus pandemico simile a quello della Spagnola.